Is 62, 1-5; Sal 95/96, 1-2.3.7-8.9-10; 1 Cor 12, 4-11; Gv 2, 1-11
La Parola di questa domenica si pone in continuità con la solennità dell’epifania e con la festa del battesimo di Gesù e costituisce come un trittico che celebra la manifestazione del Signore che suscita e rinforza la fede dell’uomo. Dio nell’epifania si è manifestato ai pagani suscitando in loro la fede come ricerca di Dio; nel battesimo di Gesù al Giordano si è manifestato agli israeliti suscitando la loro fede come ascolto della Parola; nell’inizio dei segni a Cana si è manifestato ai discepoli suscitando in loro la fede come sequela e adesione personale attraverso la mediazione della madre che anticipa l’ora del dono di sé realizzata nel Calvario. La manifestazione di Dio chiama in causa direttamente l’uomo che, nel segno della fede, accoglie il mistero divino.
In primo luogo è importante sottolineare come l’evangelista Giovanni dia molta importanza al primo dei segni che costituisce come il prototipo e l’archetipo di ogni altro segno (7 in tutto), nel senso che il significato del cambiamento dell’acqua in vino rappresenta il nucleo e l’anima di tutti i segni che seguiranno e nei quali si realizzerà e si espliciterà quanto avvenuto in questa circostanza, anticipazione dell’ora del dono di sé sul Calvario. È infatti interessante osservare il crescendo dei segni del IV Vangelo: il cambiamento dell’acqua in vino, la guarigione del figlio del funzionario regio, la guarigione del paralitico, la moltiplicazione dei pani, Gesù cammina sul mare, la guarigione del cieco nato e, ultimo, il grande segno della resurrezione di Lazzaro. Il disegno teologico di Giovanni, al contrario dei sinottici che descrivono i miracoli come segno della potenza di Gesù, dipinge nello svolgersi di questi segni la progressiva rivelazione di Gesù che culmina con la resurrezione di un morto e chiede il segno della fede ma tuttavia si risolve in un incomprensibile rifiuto da parte di coloro che avevano la possibilità di riconoscere la venuta del messia: i Giudei!
In secondo luogo è fondamentale osservare come l’evangelista Giovanni passi abitualmente da un piano naturale ad un piano spirituale nelle sue riflessioni. La festa di nozze funge come da sfondo e cornice nella quale si realizza il vero matrimonio, quello tra Dio (rappresentato da Gesù) e l’uomo (rappresentato dai discepoli) che attraverso la mediazione della madre-chiesa (rappresentata da Maria) diviene possibile. È curioso notare come in una festa di nozze sia totalmente assente la figura della sposa, aspetto centrale e non indifferente in ogni cultura, scelta teologica precisa che vuole attirare l’attenzione sul vero protagonista di questo brano: lo sposo che contrae alleanza con la sua sposa, l’umanità. La comprensione di questo brano è possibile poi solo se si tiene presente il brano del Calvario dove si realizza l’ora di Gesù in cui il messia realizza la festa di nozze definiva ed indissolubile con la creatura portando a compimento la promessa della gloria simboleggiata dalla coppa del vino buono versato per la gioia del mondo.
È interessante notare infine, in questo brano carico di simbolismo, come il miracolo avvenga nel nascondimento della fede, visto che il maestro di tavola non è a conoscenza di quanto avviene nelle cucine dove i servi, attraverso la mediazione della donna che anticipa il dono della vita del Figlio, fanno quello che il Signore dice. Le 6 giare piene di acqua simboleggiano l’incompiutezza dell’antica alleanza, giunta al capolinea e incapace di arrivare a 7 (numero perfetto) incapace di dare la gioia che solo l’ebbrezza del vino può donare in una festa di nozze. È interessante notare come il maestro di tavola, che dovrebbe essere il cerimoniere della festa, sia in realtà incapace di fornire ai commensali ciò di cui c’è bisogno, segno chiaro che è giunta l’ora di una nuova alleanza ancorata sul dono di sé e non più sull’osservanza delle leggi e dei comandamenti.
Non è difficile allora intuire la scelta giovannea di collocare l’inizio dei segni in una festa di nozze, il matrimonio infatti illumina la vita di Dio ma viene a sua volta illuminato dalla vita di Dio, perché è il segno privilegiato dell’amore. Il dono di sé ad un’altra persona è il segno privilegiato della fede perché è un affidamento rischioso, così come attraverso l’amore vissuto si dà la possibilità a Dio stesso di rivelarsi come amore e dono, nella fantasia e nella creatività del dono e dell’accoglienza reciproca che le persone cercano di vivere nella quotidianità.