Ne 8, 2-4a.5-6.8-10; Sal 18/19, 8.9.10.15; 1 Cor 12, 12-30; Lc 1, 1-4. 4, 14-21

La Parola di questa domenica è una riflessione sulla Parola stessa, una pro-vocazione a soffermarsi e riflettere sullo strumento prezioso che la Chiesa ha nelle sue mani: la Parola di Dio, forte, efficace, profonda. Spesso ci troviamo ad ascoltare lo stesso brano del Vangelo, a pregare lo stesso salmo e riflettere sulle stesse verità della fede, eppure scopriamo aspetti sempre nuovi; perché il tesoro della Parola è inesauribile in quanto ci comunica lo Spirito di eterna giovinezza di Dio; forse perché noi siamo diversi ogni volta che ascoltiamo e preghiamo, sempre bisognosi di attingere luce e pace, sempre assetati di verità e ricchezza, l’aver bevuto un volta alla fonte della verità non estingue la sete del nostro cuore. La Parola di Dio si fa nostra compagna in questa celebrazione svelandoci il senso della nostra vita. Siamo invitati a comprendere che il nostro rapporto con la Parola ci permette di entrare in comunicazione con Lui, di ascoltare il suo progetto su di noi e di raccontargli i nostri progetti, perché la parola di Dio è anche parola di uomo.
Dopo l’editto di Ciro (538 a.C.) il popolo di Israele ha potuto rimpatriare e iniziare la ricostruzione della sua identità nazionale e culturale che è culminata con la ricostruzione e la consacrazione del tempio (prima lettura). Neemia ed Esdra hanno giocato un ruolo importante, una funzione di guida che nella liturgia della Parola raccontata emerge con chiarezza. Il brano narra la convocazione dell’assemblea che si riunisce per ascoltare la parola di Dio, vera tanto in passato quanto nel presente, il tesoro che fa battere il cuore del popolo perché sente il bisogno di direttive per la sua vita. Celebrare la Parola comporta il fare una memoria viva dei prodigi che Dio ha compiuto in passato e continua a compiere nel presente perché attraverso il dono della legge l’uomo può mantenere vivo il suo rapporto con un Dio vivo e presente oggi nelle vicende di attualità.
Il fatto che la Parola venga ascoltata e celebrata in un’assemblea ci permette di capire la natura comunitaria della Parola, per sua natura assembleare. Spesso e giustamente abbiamo un rapporto personale con la Parola nel senso che ognuno la interpreta e la realizza a seconda della sua cultura, spiritualità e formazione ma occorre anche ricordare come la retta interpretazione della Parola sia possibile solo all’interno della comunità, dove viene vissuta, diventa vera e spiegata. Paolo ricorda che, come un corpo ha molte membra, così la comunità ha in sé vari doni e carismi, nessuno si può chiamare fuori dall’appartenenza alla comunità (seconda lettura). Ognuno ha un ruolo ed un’indole, un dono ed una caratteristica che è per la comunione, il che comporta che in una comunità alcuni vivono certi aspetti della Parola ed altri aspetti diversi; ciò che conta nella comunità è che ciascuno viva la sua originalità e non tenda all’omologazione. Il mio posto non lo può sostituire nessuno, se qualcuno non porta ciò che è e ciò che ha, la comunità stessa ne risente ed è più povera. Si tratta di iniziare a dare maggiore peso al peccato di omissione.
Gesù stesso ha celebrato la Parola non solo nella preghiera personale, e sono tanti i momenti in cui viene descritto solo in preghiera, ma anche nell’assemblea liturgica (Vangelo). In particolare la sua originalità è consistita nel mostrare la possibilità di rendere la Parola attuale nella sua quotidianità, la Bibbia non è infatti un libro destinato a rimanere chiuso in una biblioteca ma acquista senso quando è letto, meditato, sottolineato, pregato ed infine vissuto nella giornata, anche in modo inconsapevole. Gesù era un lettore assiduo e non occasionale della Parola perché come dice il profeta Isaia ogni mattino il suo orecchio si faceva attento per cogliere dove si celava la volontà di Dio per Lui. Gesù era un uomo che vedeva realizzarsi la Parola dei profeti perché nei suoi miracoli e prodigi faceva avanzare il regno di Dio promesso. Gesù conosceva Dio suo Padre per via pratica e non teorica perché trovava nella sua vita la conferma di quanto leggeva. Per questo diranno di Lui che era diverso da tutti gli altri maestri, insegnava infatti come uno che ha autorità, quell’autorità che viene dalla testimonianza concreta e non solo dalla ragionevolezza del suo pensiero. Questo brano del Vangelo viene non a caso definito il discorso programmatico di Gesù, tutto quello che seguirà nei capitoli seguenti sarà una riprova concreta di quanto propagandato in questa circostanza, Gesù è uno che fa quello che dice e dice quello che fa.